La mia infanzia e adolescenza sono
state un inferno.
E’ inutile girarci intorno, è così. E non perché venissi
maltrattata, o meglio, in realtà, è stata anche quella una forma di
maltrattatamento, ma fatta a fin di bene.
Di fatto, gli anni tra i 2 ed i 18 sono stati un susseguirsi di NO. Tanti,
infiniti, troppi no e senza mai uno straccio di spiegazione.
Ripeto, non era una forma di
cattiveria da parte dei miei genitori, ma un insano concetto di protezione.
All’alba dei miei primi passi, per
mesi, se non per anni, non mi è stata data la possibilità di cadere. E si, mai
un bel capitombolo che mi facesse piangere. Risultato, che, l’unica volta, in
cui ho approfittato di un secondo di distrazione dei miei genitori, mi sono
schiantata giù da un gradino e mi sono aperta la fronte con conseguenti 10
punti di sutura.
A 5 anni, venivo portata al parco
come tutti i bambini, ma i miei momenti di gioco tra coetanei vedevano la continua
e costante presenza di mia madre nel raggio di 20 cm che ogni circa 5
secondi mi diceva: “attenta, che ti fai male”, “attenta che cadi”, “attenta,
non correre”. Risultato che tra i 5 e i 9 anni mi sono rotta due caviglie,
distorta varie ossa e come ciliegina sulla torta, sono volata da un metro di
altezza sbattendo in piena fronte con conseguente trauma cranico. Eppure mia mamma
era lì, vicinissima, pronta a prendermi, pronta a non farmi fare male, pronta….
Ma la sua prontezza, che da una parte riusciva a tutelarmi (quasi sempre) da ogni banale
sbucciatura sul ginocchio, mi toglieva, giorno dopo giorno, la capacità, non solo di gestire le cadute ma
soprattutto di pensare autonomamente a ciò che sarebbe stato prudente fare o
non fare. Insomma, più lei mi stava addosso, e più mi deresponsabilizzava.
Dai 12 ai 18 anni, tutto un altro registro.
La missione principale dei miei genitori, non era più proteggermi da eventuali
infortuni, la MISSION era… PROTEGGERMI DAL MONDO!
Ed ecco entrare in gioco mio padre e
la sua parola preferita: NO.
Io: “Papà, ho 12 anni, posso andare
al cinema con le miei amiche sabato?”
Lui: “No”
Io: “Papà, ho 13 anni, posso andare
alla pizzata di fine scuola con i miei compagni”
Lui: “No”
Io: Papà, ho 14 anni, posso andare a
fare una passeggiata in via xx Settembre con Sonia, sabato pomeriggo?”
Lui: “No”
Io: “Papà, ho 15 anni, posso andare
in discoteca domenica pomeriggio?”
Lui: “No”
Potrei andare avanti per pagine e
pagine….. tante domande, un'unica risposta: No.
Starete pensando: “oh poverina!”. E
sì, ero proprio poveriva. Ma credete veramente che quelle cose, non le abbia fatte lo stesso?
Certo che le ho fatte. E ho baciato
un ragazzo quando avevo 13 anni, e ho fumato una sigaretta quando ne avevo 15 e
ho marinato la scuola quando ne avevo 16. Come? Ovvio, nell’unico modo che mi
era possibile, di nasconto, senza strumenti di analisi sociale, senza consapevolezza,
senza responsabilità e con il terrore di essere beccata.
Ma il punto, non è cosa e come ho
fatto le cose; il punto, è che tutti i no che mi sono sentita dire per anni non
mi hanno insegnato nulla.
Quando ho chiesto, e vi assicuro che
l’ho chiesto: “perché no?” Le risposte che si interscambiavano erano due. La
più veloce e semplice era: “no, perché no!” La seconda, se possibile, ancora
meno comprensibile: “no, perché il mondo è pericoloso…. Ilaria, non è che non
mi fido di te, sono gli altri che mi fanno paura!”
Quindi, se da una parte, quei no, non
mi insegnavano nulla, perché, di fatto, non avevano mai una spiegazione razionale
che li accompagnasse, dall’altra non mi veniva data la possibilià di scoprire,
di imparare e perché no, anche di sbagliare e poi di assumermi la
responsabilità dei miei sbagli. La deresponsabilizzazione continuava, efficace
ed inesorabile e con lei crescevano la mie convinzione. Tra tutte, le due più
importanti, che i miei genitori non fossero capaci di spiegarmi come girasse il mondo e che non sapessero insegnarmi
come affrontarlo.
Quindi, facevo da me, infrangendo tutti i no di soppiatto e scoprendo la vita di nascosto, totalmente inesperta, senza consigli, senza paracaduti, con tutte le conseguenze che potete immaginare.
Quindi, facevo da me, infrangendo tutti i no di soppiatto e scoprendo la vita di nascosto, totalmente inesperta, senza consigli, senza paracaduti, con tutte le conseguenze che potete immaginare.
Quando sono diventata mamma, la prima
cosa che ho detto a me stessa è stata: “tu non sarai mai come i tuoi genitori”!
Chi mi può biasimare?
Ma il mio pensiero, non era dovuto ad
un rancore verso coloro, che se pur in modo assurdo, avevano cercato di
proteggermi. Io volevo, solamente, che i miei bambini, al contrario di me, imparassero a vivere giorno dopo giorno, lezione dopo lezione, errore dopo errore, esperienza dopo esperienza, ma con il mio appoggio e la serenità che anche sbagliare fa parte dell'imparare ed
io, volevo essere per loro uno strumento di conosceza, una figura a cui chiedere consiglio, un airbag se necessario ma non una limitazione.
Credo fortemente che il modo migliore
per tutelare i miei figli non sia proibendo loro di fare esperienze o facendo
terrorismo verso tutto e tutti.
Ho lasciato che imparassero a
camminare sperimentando cadute a ripetizione, li ho affiancati mentre provavano
a scendere dal divano cominciando dalla testa, li ho monitorati mentre
scoprivano quanto brucia una sbucciatura sul ginocchio, li ho assistiti quando
dopo avergli spiegato che la stufa brucia, hanno comunque voluto testare con
mano.
Ogni giorno, la mia Mission, non è
proteggerli dal mondo, ma insegnarli ad affrontarlo, mettendo sul piatto
entrambi le possibilità di ogni scelta e poi lasciando a loro decidere,
spiegandogli che se dovessero fare la scelta sbagliata la conseguenza, molto
probabilmente, sara più grande dell’errore e che spesso, per un errore di un
secondo ci vogliono settimane, mesi o anni per rimediare.
Causa-effetto, queste le due semplici
parole alla base di ogni cosa.
Un paio di anni fa, Olli, che all’epoca
aveva 7 anni, tornando da una mattinata a teatro con la scuola, mi dice di aver
preso una nota.
Mi faccio raccontare. In sintesi,
dalla galleria al primo piano, dove era stata messa a sedere la sua classe e
quindi anche lui, il mio caro figlioletto aveva avuto la brillante idea di
sputare ai bambini seduti in platea.
Quado ho chiesto, perché l’avesse fatto,
la risposta fu: “mamma, non lo so, non ho pensato, volevo vedere come cade la
saliva!”
Ho taciuto e ho aspettato che mi
raccontasse come fosse stato scoperto. Un compagno, di quelli che non vedono
lora di farsi gli affari propri, prima l’ha spalleggiato nel compiere la
bravata e poi è corso a dirlo alla maestra.
La mia domanda è stata inevitabile: “
quando la maestra ti ha chiesto se l’avevi fatto veramente, cosa hai risposto?”
Lui: “Si, maestra, è vero, l’ho
fatto, non so prechè…”
Ho atteso che terminasse il racconto.
Dopo essersi preso il più grande
cazziatone dei primi suoi 7 anni di vita, la maestra l’ho ha accompagnato a
chiedere scusa al bambino che si era ricevuto lo sputo sulla testa e alla maestra
di quel bambino a nome della sua scuola.
Mi sono presa qualche secondo prima
di parlare, poi gli ho detto:
“Amore, quello che hai fatto è molto
grave, ma ho apprezzato il fatto che di fronte ad una domanda diretta della tua
maestra, hai ammesso la colpa, pur sapendo che non ti aveva visto farlo e che
quindi avresti potuto mentire. In quel momento ti sei assunto la responsabilità
del tuo gesto. Questo atteggiamento ti avantaggia nella punizione che sto per
darti. Se dovessi giudicare solo ciò che hai fatto, ti vieterei di guardare la
televisione per un mese, ma considerata l’onestà che hai dimostrato, la
punizione si riduce ad una settimana. Non basta però….
Con quella stupidaggine decisa in un
secondo, senza pensare, hai innescato un meccanismo molto più potente e grave.
A causa di quel gesto hai messo in imbarazzo te stesso, i tuoi genitori, la tua
maestra e la tua scuola. Il rischio è che tu possa essere bollato per i
prossimi anni come un bambino maleducato.
Ormai quel che è fatto è fatto, ma se
vuoi il mio consiglio, fossi in te, domani, andrei a parlare con la maestra e
gli chiederei ufficialmente scusa spiegandole che hai analizzato la situazione
con i tuoi genitori e che ti è chiara la gravità di ciò che hai fatto e che,
ovviamente, non lo farai mai più. E non intendo, che non sputerai mai più in
testa a nessuno, intendo che ti impegnerai per non mettere mai più in imbarazzo:
te stesso, i tuoi genitori, i tuoi insegnanti ecc. Non sei obbligato, sia
chiaro. Non sono io che ti obbligo. Pensaci e scegli di fare ciò che ritieni
più giusto.”
Olli ha fatto un lungo sospiro ed è
andato in cameretta.
Il giorno dopo, quando mio figlio è
tornato da scuola, con mia grande, grandissima soddisfazione, mi ha detto: “mamma
ci ho pensato tanto ieri seri e anche questa mattina e alla fine ho deciso di
parlare alla maestra. Le ho chiesto scusa e le ho detto che mi impegnerò per
essere sempre educato!”
E la maestra cosa ti ha detto: “Bene
Olli, sono proprio contenta che sei venuto a parlarmi!”
E ora tu come ti senti: “Bene, mamma,
mi sento più leggero… grazie per il consiglio!”
Di episodi come questi, dove i miei
figli hanno sbagliato, ma hanno saputo affrontare la situazione con
responsabilità e maturità ne avrei tantissimi da raccontare. E molti altri,
invece, in cui hanno saputo fare la scelta giusta e non sbagliare.
Ma tutti gli sbagli, tutte le
punizione, tutte le conseguenze, tutti i consigli, tutte le scelte, giuste o
meno, non sono altro che tanti elementi di una vita che devo insegnargli a
vivere. E’ il mio compito, è il mio lavoro, è la mia missione.
Cadendo si impara a cadere, sbagliando
si impara a vivere, scegliendo si impara a scegliere.
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